SISMI: SULLO STRETTO AUMENTA IL RISCHIO CATASTROFE
L’eccessiva urbanizzazione costiera può incrementare l’impatto di frane e maremoti
L’area dello Stretto che separa Sicilia e Calabria si conferma, ad un secolo esatto dal catastrofico
terremoto del 1908, un’area ad altissimo rischio sismico per l’intenso sviluppo urbano che si
concentra nelle aree costiere.
L’intensa urbanizzazione rende concreta la possibilità che una nuova calamità naturale possa
essere ancora più disastrosa di quella di cento anni fa, visto che una parte della costa orientale
siciliana così come quella della Calabria meridionale, rappresentano zone particolarmente
vulnerabili a frane e maremoti, oltre che allo scuotimento sismico.
Sotto accusa è soprattutto lo sviluppo degli ultimi decenni, che non ha tenuto adeguato conto dei
fattori di fragilità naturale. Molte infatti sono le case costruite lungo spiagge dove l’onda di
maremoto raggiunse gli 8-10 metri di altezza nel 1908 e diversi pendii, potenzialmente instabili,
sono occupati da costruzioni ed attraversati da infrastrutture, sia sul lato calabro che su quello
siciliano.
Una situazione complicata da affrontare, visto che gli esperti concordano sul fatto che è difficile
pensare a soluzioni definitive. Tra gli interventi realistici quelli di prevenzione, basati su una
pianificazione territoriale più attenta, la cui attuazione venga verificata in maniera puntuale rispetto
al passato, oltre a interventi di stabilizzazione di costruzioni e infrastrutture, senza escludere la
possibilità di rimozione dove particolari condizioni di rischio la rendano opportuna.
L’urgenza è confermata dai dati forniti oggi durante un convegno alla Provincia di Messina nel
centenario del sisma del 1908, cui hanno partecipato esperti dell’ISPRA (Istituto Superiore per
la Ricerca e Protezione Ambientale), insieme a docenti universitari ed esponenti della Regione
Siciliana, della Regione Calabria, delle Agenzie ambientali regionali e degli Ordini regionali dei
Geologi.
In particolare, lo studio presentato dall’ISPRA è il più dettagliato esistente per quanto riguarda gli
effetti sull’ambiente indotti dal terremoto del 1908: i ricercatori dell’Istituto hanno ricavato da fonti
storiche notizie su 290 effetti sull’ambiente. Tra questi, 86 frane, sia in roccia che in depositi
argillosi, sabbiosi e ghiaiosi, 11 frane sottomarine e 70 fratture del terreno. Inoltre, vennero
registrate variazioni di quota su 120 capisaldi, con abbassamenti del terreno fino a 70 cm, 12 casi di
variazioni di portata delle sorgenti fino alla comparsa / scomparsa delle stesse, mentre 19 settori
costieri registrarono un significativo arretramento della linea di riva.
Lo studio afferma inoltre che, soprattutto in Calabria, esiste anche il pericolo concreto che frane
ostruiscano gli alvei fluviali determinando la formazione di laghi, per lo più effimeri, come è già
avvenuto diffusamente nel 1783 (ne vennero censiti 215). Il repentino cedimento degli sbarramenti
produrrebbe improvvise ondate di piena e colate di fango che metterebbero a serio rischio i
centri urbani e le infrastrutture a valle. Analogo rischio è associato al cedimento indotto dallo
scuotimento sismico della diga di ritenuta dei bacini artificiali montani presenti nell’area, oltre che
alla caduta di frane negli alvei dei bacini lacustri, con effetti di tracimazione.
Le frane potrebbero anche danneggiare strade, reti elettriche, gasdotti e acquedotti. Questi ultimi
potrebbero subire inquinamenti anche gravi per l’interferenza, ad esempio, con le reti fognarie. Per
quanto riguarda impianti industriali come quelli di Priolo e Milazzo, i danni verrebbero sia dal
maremoto, con conseguente rischio di inquinamento marino e costiero, sia dalla liquefazione dei
terreni di fondazione, essendo questi siti spesso localizzati in piane alluvionali costiere.
“Per quanto concerne gli effetti ambientali del terremoto - ha affermato Eutizio Vittori,
responsabile del Servizio Rischi Naturali dell’ISPRA -il fronte degli interventi applicabili oggi
per ridurre il rischio in maniera apprezzabile è limitato. I pendii potenzialmente instabili – ha
spiegato – possono essere oggetto di studi specifici ed è possibile introdurre stabilizzazioni dove il
rischio è più marcato, ma le dimensioni dei fenomeni franosi da attendersi, per un evento della
stessa portata di quello del 1908 e di quelli precedenti anche più forti (1693, 1783, 1905), sono tali
che anche investimenti enormi non riuscirebbero ad azzerare il rischio”. “Anche per il maremoto –
ha continuato l’esperto - è obiettivamente difficile pensare ad interventi strutturali risolutori peraltro
insostenibili da un punto di vista sia economico che ambientale in quanto dovrebbero estendersi per
lunghi tratti di costa, con un notevole impatto sulla dinamica costiera e il paesaggio. Piuttosto
sarebbe auspicabile orientarsi verso l’installazione di adeguati sistemi di allerta e la
delocalizzazione degli impianti a maggiore criticità ambientale”.
“Incontri come questo - ha aggiunto il Commissario straordinario dell’ISPRA, Vincenzo
Grimaldi - hanno un’importanza strategica. L’obiettivo infatti è quello di trarre vantaggio
dall’insieme degli studi scientifici e dei metodi d’indagine più moderni per individuare con
chiarezza le aree maggiormente vulnerabili del territorio e in particolare i siti ad elevata criticità
ambientale, dove è più necessario e urgente adottare misure di prevenzione”.
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